Anche il comune di Torreglia, situato nel Veneto, aggiunge storia a quel libro intitolato Italia di cui persino i miei bisnonni Valentino ed Elvira furono coautori. Tenendo viva la memoria rievochiamo il nostro passato.
Questo è un racconto che parla di addii e di incontri; un breve paragrafo di questa storia scritta da chi un giorno di Torreglia partì e certamente sconosciuto a coloro che oggi vivono e costruiscono la Torreglia del futuro.
Mi sento fortunata per l’opportunità di riportare, con Valentino ed Elvira, una storia lontana e dimenticata e per aver trovato in questa le mie radici. Non c’è data migliori del 21 febbraio, giornata del migrante italiano in Brasile, per pubblicare questo tributo ai tanti “Valentini” ed “Elvire” che allora partirono in cerca di migliori opportunità di vita e di lavoro.
Tutto ebbe inizio quando …In America

Tutto ebbe inizio quando il governo del Brasile, affrontando la necessità di sostituire i braccianti schiavi, ebbe conoscenza che gruppi di migranti europei lasciavano i loro paesi in cerca di una vita migliori in quest’altra parte dell’Atlantico. Il richiamo delle sirene arrivò nella forma di volantini pieni di irresistibili promesse nei quali si poteva leggere: “…In America. Terre in Brasile per gli Italiani. Navi in partenza tutte le settimane dal Porto di Genova. Venite a costruire i vostri sogni con la famiglia. Un paese di opportunità. Clima tropicale vito in abbondanza. Ricchezze minerali. In Brasile potete avere il vostro castello. Il governo dà terre ed utensili a tutti”. Così, il 21 febbraio 1874, arrivò in Brasile la prima spedizione di italiani.
Valentino ed Elvira non furono i primi a sbarcare, ma sicuramente crebbero catturati da quel sogno. Si, loro osarono e in cerca di quel sogno partirono ancora giovani (lui di anni 25 e lei 21) da via Vallorto nel mezzo dei Colli per un lungo e sconosciuto viaggio. Sposati solo quattro mesi prima, partirono dal porto di Genova quell’aprile del 1896 a bordo del piroscafo Rosario. Nella casa a Torreglia, lasciavano famiglia, amici e il cuore. Nella valigia misero solamente la speranza di una vita migliore e quando si allontanarono dal porto non lo sapevano di stare dando un definitivo addio all’Italia.
Quelli erano anni difficili nella loro patria mentre oltremare molte erano le promesse di una vita nuova. Valentino ed Elvira furono soltanto altri due, tra le migliaia d’italiani, che risposero all’appello. La decisione di emigrare non era una scelta libera, arrivava della necessità e perciò tutti in cuor loro covavano la speranza di ritornare nella patria natia. Per Valentino ed Elvira non fu diverso. Dopo un mese di viaggio, il 2 maggio 1896, più precisamente 124 anni fa, sbarcarono nel porto di Rio de Janeiro. Erano riusciti, insieme con altri 953 viaggiatori in terza classe, a superare le intemperie e le malattie del viaggio. Il loro destino era Juiz de Fora (la città dove sono nata) nello stato di Minas Gerais. Valentino ed Elvira non sapevano che della loro decisione avevano iniziato anche a tracciare la mia storia.
Oltre ai confini: lavoro duro, famiglia e saudade
Valentino Fasolato, primogenito di sei figli della coppia Giuseppe Fasolato e Antonia Pravato, nacque il 28 giugno 1870. Oltre a genitori e parenti, ha lasciato a Torreglia i suoi fratelli, Luigi e Adamo (quest’ultimo sposò Domenica Gallo), e la sorella, Angela, che anni dopo sposò Agostino Bernardi. Elvira Pressato nacque il 4 febbraio 1874, figlia di Giovanni Pressato e Scolastica Neri. Valentino ed Elvira, insieme, cominciarono una grande famiglia Fasolato che rompendo i confini tra i due paesi unì culture diverse. Arrivati a Minas, la coppia si stabili a Sarandira, frazione di Juiz de Fora, dove Valentino lavorava la terra, come aveva imparato a Torreglia.
Dopo essersi successivamente spostati a Juiz de Fora, Valentino vi si stabili in qualità di giardiniere e coltivando un piccolo orto iniziò la vendita di piantine oltre a usarle per dare vita ai giardini delle più eleganti case della città. La vita era dura, fatta di tanto lavoro, e come tutti gli immigrati Valentino ed Elvira impararono anche a convivere con la “saudade“, la nostalgia, che appesantiva continuamente il loro cuore. A questo punto, il pensiero di ritornare in Italia, ritrovare la famiglia, gli amici, riprendere le abitudini, rivivere i sapori e gli odori della loro terra si allontanavano. La situazione economica, il lavoro e i figli che arrivarono, otto in totale, li spingevano ad andare avanti e impegnarsi ancor più per migliorare e consolidare la stabilità della famiglia.
Oggigiorno in Brasile sono centinaia i discendenti dei Fasolato e tutti i discendenti di italiani nel paese già sommano oltre a 28 milioni.

Bisogna raccontare per non dimenticare
Qualcuno con maggior fortuna, ciascuno col proprio destino. In verità il “paradiso” che fece sognare i nostri bisnonni e nonni era lontano dell’essere reale. Appena arrivati, gli immigrati venivano portati presso la “Hospedaria dos imigrantes” una sorta di ostello di accoglienza dove veniva attuata un triage per valutare le loro condizioni di salute. Poi caricati su treni che li trasportavano in remoti villaggi. I castelli finora promessi erano solo vecchie e primitive baracche oppure un tetto ancora da costruire, in ogni modo lontani delle città. Si sentivano confinati, isolati e soggetti alle malattie tropicali. Non disponevano di mezzi di trasporto, non potevano comunicare con la famiglia in Italia, non parlavano la lingua locale e non ricevevano né sostegno sanitario né tantomeno supporto religioso. Carenti di tutto. Il vino e il formaggio cedettero il posto alla farina di manioca. Abitudini e tradizioni furono violate e i legami famigliari spezzati.
Per riprendere in mano la loro vita, gli immigrati italiani dovettero rompere pesanti vincoli imposti dai loro sfruttatori. Lottarono contro l’avidità e l’egoismo, misero su famiglia, crearono
nuove abitudini, piantarono, raccolsero, costruirono città, ripresero tradizioni, impararono e insegnarono. Il vino e il formaggio pian piano ritornarono sul tavolo e molti, come Valentino ed Elvira, osarono di nuovo; sopravvissero. Valentino ed Elvira vissero in Brasile i successivi 50 anni. Anni di duro lavoro e di “saudade”. Anni passati a sognare il ritorno nel loro paese, anni di gioie e lacrime. Quando partirono per il mondo spirituale entrambi avevano 70 anni. Valentino ed Elvira forse non sanno, ma sicuramente la loro missione fu compiuta. Da loro ho ereditato il sangue, i valori, la cittadinanza, l’interesse per l’Italia, per la lingua, la cultura, la musica e non solo; ho ereditato anche il sogno. Per loro ho fatto il viaggio che non sono mai riusciti a fare. In qualche modo, attraverso di me sono tornati in Italia e chissà un giorno riuscirò a riportarli a casa, alla loro amata Torreglia. Abitare a Torreglia è ancora un sogno.
In questo 21 febbraio 2020, giornata del migrante italiano in Brasile e quando si festeggia i 146 anni del movimento migratorio italiano, ricevete questa storia come una dichiarazione d’amore!
Centro urbano primitivo a Caxias do Sul, “Sede Dante”, 1876-77 circa. (Autore sconosciuto, Wikimedia Commons Domínio pubblico Mark 1.0)
Traduci i tuoi testi e documenti
Conquista, distinguiti, connettiti, espandi i tuoi orizzonti oltre i confini.
Sii fluente in portoghese! Inizia adesso!
