

I libri "1984", La fattoria degli animali (Animals Farm) e tutte le altre opere dello scrittore inglese George Orwell diventano di pubblico dominio. Brasile, Unione Europea e Stati Uniti hanno firmato la Convenzione di Berna che stabilisce che i diritti d'autore sulle opere scadono dopo 70 anni dal 1° gennaio successivo alla morte dell'autore. Orwell visse fino al 1950, un anno dopo l'uscita di 1984. Tradotto in oltre sessanta paesi, 1984 è il libro più famoso di Orwell trasformato in commedie, film e fumetti. George Orwell nacque in India nel 1903 e morì a Londra il 21 gennaio 1950.
Come i romanzi di Orwell, anche le opere dello scrittore italiano Cesare Pavese hanno perso il copyright. Tra i più apprezzati fino ad oggi, La casa in collina e La luna e i falò. Cesare Pavese è riconosciuto anche per le traduzioni in italiano di "Moby Dick" di Herman Melville, e "Of mice and men"(Uomini e Topi) di John Steinbeck. Pavese nacque nel settembre 1908 e morì a Torino il 27 agosto 1950.

Il Brasile ha lanciato il primo satellite prodotto con tecnologia 100% nazionale: Amazônia-1. Secondo l’Agência Brasil, il lancio è avvenuto il 28 febbraio attraverso il Satish Dhawan Space Center, in India. Lo scopo del satellite è fornire dati di telerilevamento per osservare e monitorare la deforestazione, in particolare nella regione amazzonica, oltre a monitorare l'agricoltura nel paese. “Il lancio ha segnato due progressi tecnologici nel Paese: la totale padronanza del ciclo di sviluppo di un satellite, conoscenza dominata da soli venti paesi nel mondo, e validazione della Multimission Platform (PMM) che funziona come un sistema modulare adattabile che può essere configurato in modi diversi per raggiungere obiettivi diversi”, ha osservato il direttore in carico dell'Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale (INPE), Mônica Rocha. Il lancio del satellite è il risultato della collaborazione tra il programma spaziale brasiliano e l'India. L'Amazônia-1 è stato sviluppato dall'INPE in collaborazione con l'Agenzia Spaziale Brasiliana (AEB), entrambe collegate al Ministero della Scienza, della Tecnologia e dell'Innovazione.
Altre missioni spaziali hanno segnato il mese. Sono sbarcati su Marte la missione Hope degli Emirati Arabi Uniti, che ha lo scopo di osservare e studiare l'atmosfera e gli eventi climatici sul Pianeta Rosso; la missione cinese Tianwen-1, incaricata di effettuare osservazioni scientifiche della superficie e dell'atmosfera di Marte, e la missione Mars 2020 della NASA, che include la navicella spaziale Perseverance e l'elicottero-drone Ingenuity. Perseverance ha il compito di cercare possibili segni di vita sul pianeta, studiare la geologia del suolo e raccogliere campioni di roccia. Ingenuity è stato il primo drone a sorvolare il pianeta. Per il 2022, i piani provengono da Virgin Galactic, che prevede di avviare un servizio di volo spaziale commerciale. "Verso l'infinito... e oltre!"

Tra nascita e rinascita, la resilienza ha segnato la storia di Venezia che il 25 marzo ha compiuto 1600 anni. La storia ci racconta che in quel giorno del 421d.C. sulla Rivo Alto (Rialto) avvenne il primo insediamento a Venezia, seguito della consacrazione della chiesa di San Giacomo. La nascita di Venezia sembra essere stato un processo lento. Infatti, tutta la città è costruita sull’acqua. Sotto alle fondamenta in pietra, tronchi di legno reggono il peso delle costruzioni, come le palafitte, e si conservano grazie al fango nel quale sono immersi. I palazzi e chiese di Venezia galleggiano.
La storia ci racconta anche che Venezia è riuscita a sopravvivere a guerre, conflitti, battaglie e crisi varie. Nel 1797, fu occupata dalle truppe francesi di Napoleone Bonaparte. I palazzi, le case, le chiese di Venezia furono saccheggiati dai francesi, che spararono a chiunque osasse protestare. Le opere d’arte furono sottratte e chiese abbattute. Ma Venezia fu anche una delle città più raffinate d’Europa con una forte influenza sull’arte, l'architettura e la letteratura. Tra il bene e il male, la prosperità e la peste, la bellezza e l’acqua alta, spesso provocata dall’alternare delle maree, Venezia resiste, ed è Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.

19 milioni di unità vendute in tutto il mondo. 19 milioni di storie da contare e raccontare. Questa è la Vespa che ad aprile ha compiuto 75 anni. In tutti questi decenni la Vespa ha tenuto intatto il suo aspetto e pur mantenendo la sua essenza non ha mai smesso di essere contemporanea. La prima Vespa fu brevettata il 23 aprile 1946 dal gruppo italiano Piaggio. La Seconda Guerra Mondiale era appena finita e l’Italia era un paese tutto da ricostruire, pieno di idee e di speranze. La Vespa nasce in questo scenario come veicolo accessibile ed economico e diventa presto un successo di vendite, mettendo l’Italia al centro del movimento del dopoguerra.
La piccola moto varcò i confini, nel 1950 inizia a essere prodotta in Germania; nel 1951, nel Regno Unito, e nel 1954, arriva in Brasile. Icona del design italiano, la Vespa ha partecipato in film classici come “Vacanze romane ” (1953), in cui Audrey Hepburn e Gregory Peck passeggiavano per le strade di Roma, e “La dolce vita” (1960), di Federico Fellini, divenendo un simbolo della libertà e della gioventù dell'epoca. Fin dalla sua creazione, la Vespa è stata prodotta ininterrottamente nello stabilimento di Pontedera, tra Firenze e Pisa.

Il Colosseo, nel cuore di Roma, riavrà la sua arena. Questa è stata sicuramente la migliore notizia per tutti coloro che amano lo stretto contatto con la storia. Nell'ambito dei “Grandi Progetti Beni Culturali”, dopo numerosi studi e indagini per definire le modalità di realizzazione dei lavori, l’Italia ha presentato il progetto di ricostruzione dell’arena. Il via ai lavori sarà dato nei primi mesi del 2022 con completamento previsto per il 2023.
Risalendo agli anni dell’inaugurazione (80 d.C.) il pavimento dell’arena era un tavolato di legno ricoperto di sabbia dove venivano fatti salire uomini e belve. Anni dopo venero costruiti i sotterranei in muratura e successivamente la costruzione del complesso che oggi si vede al centro del monumento, molto più complesso e altamente tecnologico. Il nuovo progetto sarà sostenibile, resistente e di alta durabilità e restituirà al pubblico la stessa visione che avevano del monumento in antiguità.

Padova è la città dei 3 senza: Il santo senza nome, il caffè senza porta e il prato senza erba, come la definiscono i suoi abitanti, e il 13 giugno è una giornata importante per i padovani perché si festeggia "Il Santo", senza mai necessità di specificarne il nome. Il santo senza nome è Sant’Antonio, patrono di Padova, amato in tutto il mondo cattolico, però la Basilica a lui dedicata ha ricevuto semplicemente il nome di Pontifica Basilica del Santo. La Basilica, che accoglie ogni anno milioni di fedeli, conserva le reliquie di Santo Antonio e quest’anno ha anche festeggiato il rientro a Padova, per la prima volta dal 1652, della reliquia dell’avambraccio di Antonio, custodita alla Basilica della Salute, a Venezia. L’avambraccio del Santo fu stato oggetto di un pellegrinaggio che ha confermato il legame tra Venezia e Padova.
La seconda icona della Città del Santo sono il "Caffè senza porta", in riferimento al Caffè Pedrocchi che questo mese ha compiuto 190 anni. Fino al 1916, il locale rimase aperto giorno e notte, da qui il nome "Caffè senza porta". La chiusura notturna avveniva perché le luci interne potevano essere facilmente un riferimento per gli austriaci durante i bombardamenti della Prima Guerra Mondiale. Infatti, nel 1848, da un colpo sparato proprio dai soldati austriaci, un proiettile andò a colpire una parete all'interno del Caffè. Il foro fatto del proiettile e una targa a perenne memoria dell'accaduto conservano ancora il ricordo di quel giorno. Infine, il "Prato senz'erba", una delle piazze più grande d'Europa, fa riferimento al Prato della Valle che, in origine, era una terra paludosa e non il bel prato erboso con le sue 78 statue che conosciamo oggigiorno.

"It's coming Rome" è la frase della vittoria. L’Italia ha battuto l’Inghilterra a Wembley ed è campione d'Europa. La frase sopra è la risposta data dalla "Squadra Azzurra" al fiducioso coro inglese “It’s coming home” (Sta tornando a casa), cantato instancabilmente prima e durante la partita realizzata proprio a Londra. Ma quel giorno tutto è andato storto per i britannici, e davanti a circa 65 mila persone a Wembley, è stata l’Italia a portare a casa l’ambito trofeo.
La partita è stata una delle più belle ed emozionanti della Nazionale italiana. L’Inghilterra è la prima a segnare a soli due minuti dall’inizio. L’Italia solo ai 67 minuti della ripresa riesce a pareggiare con un gol di Leonardo Bonucci (1x1). La partita si prolunga fino ai tiri di rigore e dopo due ore e mezza l’Italia ha vinto 3-2, aggiudicando il titolo di campione d'Europa per la seconda volta nella sua storia. Il primo titolo è stato conquistato nel 1968. La 16ª edizione del campionato europeo di calcio 2020 o EURO 2020, organizzato dalla UEFA, è stata ufficialmente rinviata di un anno a causa della pandemia di COVID-19. Nonostante ciò, l'UEFA ha deciso di mantenere invariato il nome della competizione.

140 anni fa, il 21 agosto, la Gioconda sparì nel nulla. Al Louvre, a Parigi, dove il capolavoro di Leonardo Da Vinci era in mostra da 1797, tutti rimasero sbalorditi. Nessuno l'aveva spostato. Nessuno sapeva dove sarebbe finita. La Gioconda appena non c’era più e nessuno era in grado di rispondere alla domanda “Chi ha rubato la Gioconda?” Trascorsero due anni tra dubbi, incertezze e ipotesi sulla scomparsa della Gioconda senza mai una traccia di ciò che realmente fosse accaduto quel giorno. Quello che nessuno sapeva è che la Gioconda era nascosta nella stanza in cui viveva Vincenzo Peruggia, un italiano che, emigrato in Francia, andò a lavorare al Louvre e, un bel giorno, decise di rubarla.
Con la Gioconda nascosta sotto una giacca, Peruggia prese un autobus e la portò a casa, tornando poi al lavoro. Peruggia voleva restituire all’Italia il dipinto che pensava fosse stato sottratto da Napoleone Bonaparte. Su un libro lesse che Napoleone sottrasse molte opere d’arte all’Italia, deducendo così che tra le opere trafugate c'era la Gioconda, quella che tutti i giorni vedeva al Museo. Lui non sapeva che la Gioconda in realtà fu venduta al Re di Parigi. Rientrato in Italia, Peruggia chiese a un antiquario di Firenze di riportare la Gioconda in un museo italiano e, chissà, come ricompensa, avrebbe potuto avere un lavoro sicuro, ma l'antiquario di fronte all'autentica Gioconda, avvertì la polizia e Peruggia fu arrestato. La Gioconda tornò in treno a Parigi e Peruggia fu condannato a un anno di reclusione, ottenendo poi la riduzione della pena.

Sette secoli sono trascorsi dalla morte di Dante, tuttavia lui è ancora con noi, presente nella nostra quotidianità. Ciò perché lui, il Sommo Poeta, ci ha lasciato in eredità la lingua italiana, quella che parliamo oggi, che è nata dalla sua poesia e che ha unito l’Italia dal punto di vista comunicativo. Pur conoscendo bene il latino, Dante era convinto che la lingua volgare, parlata dalla gente per strada, dovesse diventare la lingua colta. “La più nobile di queste due lingue è il volgare (…) perché ci è naturale, mentre l’altra (riferito al latino) è piuttosto artificiale”, scrisse nel De Vulgari Eloquentia.
Tra i più importanti lasciti di Dante Alighieri troviamo uno dei capolavori della letteratura, la Divina Commedia, considerata la più grande opera scritta in lingua italiana. L’intera Commedia è composta da tre cantiche che comprendono un totale di 100 canti. La prima cantica (Inferno) è composta di 33 canti più Il Cantico Introduttivo, e le altre due (Purgatorio e Paradiso) sono di 33 canti ciascuna. Ogni canto varia da un minimo di 115 a un massimo di 160 versi, per un totale di 14.333, tutti scritti in terzine incatenate di versi endecasillabi. Dante nacque a Firenze nel 1265 e morì in esilio a Ravenna nella notte tra il 13 e 14 di settembre 1321. In occasione del 700esimo anniversario della sua morte, il 2021 viene proposto dal Ministero della Cultura come l’anno di Dante, oltre il 25 marzo, Giornata Nazionale già in precedenza dedicata a lui, detta Dantedì.

Dal 14 ottobre, quando dopo 74 anni fu realizzato l’ultimo volo di Alitalia, il cielo ha perso un po’ di colore. Nel 2006 aveva già perso una sua stella, quella della Varig, compagnia di bandiera brasiliana, che si è spenta dopo 79 anni. Nessuna correlazione tra le due se non che entrambi erano un vero fiore all’occhiello dei loro paesi e che le immagini di questi ultimi voli, in un certo senso, hanno lasciato qualche segno sugli appassionati di trasporto aereo. In un'altra occasione, gli stessi affezionati assistettero con dispiacere l'ultimo volo del mitico Concorde. Chi tra gli appassionati non ha sognato, almeno una volta, di volare a bordo della Concorde? L’obbiettivo qui non è entrare nel merito o nei motivi del declino di queste compagnie, ma registrare la scomparsa degli aerei che un tempo hanno vissuto i loro Anni d’Oro.
Alitalia, la più grande compagnia aerea di bandiera italiana, fu un gigante del trasporto globale, un vero punto di riferimento fino al suo inevitabile collasso. Anche Varig aveva i suoi forti punti di eccellenza guidati dal loro centro di manutenzione degli aerei e di formazione degli equipaggi riconosciuti tra i migliori al mondo. Ciascuno dei suddetti aerei ha lasciato il segno, sia per il design e velocità supersonica, sia per colorare il cielo con la sua singolarità tricolore o per far brillare lassù una stella in più. L’ultimo volo di Alitalia, AZ 1586 Cagliari-Roma, operato da un A321, chiude un’altra lunga storia nel settore dell'aviazione.


Ormai siamo immersi in una crisi che ci colpisce a tutti i livelli. Da due anni siamo in emergenza sanitaria innescata dalla pandemia di Covid-19 che, se saremo fortunati, si prolungherà solo ai primi mesi del 2022. Poi... Chi può dirlo? Sulle testate giornalistiche il tema Covid, pur essendo faticoso, non soddisfa. Il vero ruolo della stampa, che sarebbe quella di informare, ha finito per perdersi nella moltitudine di fatti, informazioni discordanti e contradizioni e servono solo a confondere ancor di più. Dati manipolati a loro piacimento? Forse sì, ma chi può dirlo? Quello che si sa è che anche il 2021 è stato un anno di traumi, sconfitte e perdite. Un anno che ha cambiato le nostre vite e ci ha cambiato nella nostra essenza. A malapena stiamo imparando ad andare avanti, a provare di ripartire. Per testardaggine o ostinazione, non so, vogliamo ancora per un po' credere che il 2022 possa essere diverso e possa offrirci un po’ più di speranza, nuove aspettative e qualche sogno avverato, anche perché i sogni a volte si avverano. Tuttavia, per ora, il mondo soffre ancora di Covid-19. Per ora, il mondo è in Rianimazione. Speriamo bene!
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