Pennellate all’eternità – 500 anni di Raffaello Sanzio

Il “divin pittore”, genio sensibile, principe delle arti, quasi un Dio mortale. Così le voci sparse nel mondo definiscono Raffaello Sanzio, uno dei più grandi artisti del Rinascimento. A 500 anni dalla morte di Raffaello, le celebrazioni preparate in Italia sono state sospese per l’emergenza Covid-19. Le opere riposano al buio, nelle sale climatizzate, anche loro, come tutti, in una lunga attesa durante questi tempi di allontanamento sociale. La mostra “è una Bella Addormentata in attesa del principe che la risvegli” ha detto il presidente del museo romano Mario Di Simoni. Ma alla fine poco importa se il principe la sveglierà in ritardo, perché le opere che ci ha regalato Raffaello sono eterne.

Tuttavia, al posto dei titoli appena sopra indicati, dire semplicemente ‘Raffaello’, come si intitola la mostra presso le Scuderie del Quirinale, sembra già abbastanza, visto che lui può essere facilmente riconoscibile nelle sue opere. Il segno distintivo delle sue madonne con bambini, dei ritratti di papi, cardinali e Signori del suo tempo, degli affreschi delle sale Vaticane e di tanti altri lavori che l’hanno reso famoso a livello mondiale, ci portano subito al maestro della pittura italiana nato a Urbino nel 1483.

Figlio del pittore Giovanni Santi, Raffaello fu influenzato da suo padre e presto imparò le tecniche artistiche di base. Con la scomparsa di Santi, quando Raffaello aveva soli undici anni, lo zio, il sacerdote Bartolomeo, affidò la sua formazione al pittore Pietro Vannucci, detto ‘il Perugino’. Nel 1504, Raffaello recatosi a Firenze volle conoscere Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti e in questo periodo dipinse numerosi ritratti, soprattutto di Madonne con bambini. Alla fine del 1508, si trasferì a Roma e ricevette da papa Giulio II l’incarico di concludere gli affreschi negli appartamenti vaticani.

Più che mai Raffaello Sanzio conquistava l’ammirazione di tutti e diventava l’artista più ricercato della città. La pittura continuava ad essere la sua principale attività, ma cedette spazio anche all’architettura, studiata a priori per essere di sopporto alla prima. Fu come architetto che Raffaello rispose alla chiamata di papa Leone X, andando a sostituire Donato Bramante, morto nel 1514, nella costruzione che segnò per sempre la storia della architettura, la Basilica di San Pietro, alla quale si dedicarono anche altri grandi maestri, come Michelangelo Buonarroti. Raffaello morì nel 1520, a soli 37 anni, e il suo progetto della Basilica non vide la fine. Nonostante giovane, il ‘principe dei pittori’, come è chiamato da molti, fu di ispirazione per diversi artisti nei secoli successivi, tra i quali Caravaggio e Salvador Dalí.

Fotos: autoritratto di Raffaello 1505-06, Uffizi, Firenze (Raphael, Wikimedia Commons Public domain Mark 1.0). Dettaglio del capolavoro “La Madonna Sistina” 1513-1514 circa (Raphael, Wikimedia Commons, Public domain Mark 1.0).

Raffaello Sanzio, le mostre in attesa di ripartenza

Le mostre ormai interrotte dalla pandemia rimangono in attesa di ripartenza. A Roma, nelle Scuderie del Quirinale, l’esposizione “Raffaello 1520-1483 raggruppa più di 100 capolavori provenienti da collezioni e musei di tutto il mondo. La sola Galleria degli Uffizi di Firenze ha contribuito con circa 50 dipinti. La speranza è che la mostra programmata per chiudere il 2 giugno, limite dei contratti di prestito, possa essere mantenuta aperta per tempo abile. Mentre si attende, la Galleria degli Uffizi ha preparato un tour virtuale che può essere visto cliccando qui o digitando #RaffaelloOltrelaMostra. Altre celebrazioni certamente ripartiranno in Emilia-Romagna, Lombardia e nelle Marche, regione dove nacque Raffaello.

Non solo l’Italia sta celebrando Raffaello Sanzio. In Brasile, il Centro Culturale della Fiesp, a São Paulo, realizza la mostra Rafael e a Definição da Beleza” (Raffaello e la definizione di bellezza) che espone opere mai esibite nel paese, provenienti da musei di Roma, Napoli e Modena. È sempre a São Paulo, nel Museo de Arte Moderna (MASP), che si trova l’unica opera di Raffaello

 

al di fuori delle collezioni europee e degli Stati Uniti: la Resurrezione di Cristo, datata 1502 e acquistata dal museo nel 1954. Anche negli Stati Uniti le celebrazioni sono in attesa. La National Gallery of Art, in Washington DC, celebra i 500 anni della scomparsa di Raffaello Sanzio con la mostra Raphael and his Circle Virtual Tour” che nel momento può essere visitata solo virtualmente in 3D sul sito della Galleria.

In Inghilterra, la National Gallery di Londra dedica una grande mostra a Raffaello. Intitolata The Credit Suisse Exhibition: Raphael, l’esposizione sarà realizzata da ottobre 2020 a gennaio 2021 con più di 90 opere provenienti da musei vari come il Louvre, i Vaticani, gli Uffizi e la National Gallery of Art di Washinton. In messaggio, il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha esternato il suo sentimento: “l’augurio è che le porte si possano riaprire quanto prima e che da quello spirito rinascimentale che rese impareggiabile l’arte di Raffaello si possa trarre energia per una ripartenza dell’Italia e dell’Europa”.

Con i miei migliori auguri!

La “Madonna Sistina”, fra i dipinti più famosi di Raffaello (1513-14). (Raphael, Wikimedia Commons Public domain mark 1.0)
“Il Trionfo di Galatea”, affresco di Raffaello Sanzio, 1512 circa, Villa Farnesina, Roma. (Raphael, Wikimedia Commons CC BY-SA 3.0)
“Il Ritratto di papa Giulio II”,1511, National Gallery di Londra. Una seconda versione datata 1512 è conservata negli Uffizi di Firenze. (Raphael, Wikimedia Commons  Public domain Mark 1.0),
“La Resurrezione di Cristo”,1501-02, Museu de Arte de São Paulo, Brasile. (Raphael, Wikimedia Commons Public domain Mark 1.0)
“San Giorgio e il drago”,1505 circa, National Gallery of Art, Washington, USA. (Raphael, Wikimedia Commons Public domain Mark 1.0)

 

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“Gli angeli nel cielo parlano italiano.” (Thomas Mann)

Dante in Paradiso - Divina Commedia

«Ma signore che cosa mi domanda? Son veramente innamorato di questa bellissima lingua, la più bella del mondo. Ho bisogno soltanto di aprire la mia bocca e involontariamente diventa il fonte di tutta l’armonia di questo idioma celeste. Sì, caro signore per me non c’è dubbio che gli angeli parlano italiano. Impossibile immaginare che queste creature del cielo si servano di una lingua meno musicale.»

Questa è una vera e propria dichiarazione d’amore per l’italiano. Thomas Mann, premio Nobel per la Letteratura nel 1929, fa rispondere così al protagonista del suo romanzo “Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull“, alla domanda fatagli dal direttore d’albergo che gli chiedeva se conoscesse l’italiano. Mann, nato in Germania, oltre a questa affascinante confessione ci ha regalato opere come “La morte a Venezia, che più tardi diede origine al premiato film omonimo.

Se quindi l’italiano è la lingua degli angeli scommetto sia anche la lingua ufficiale in cielo, che ne pensi? Non mi sorprendo l’italiano sia passato dall’etereo all’estero come la più romantica, dolce, melodica, armoniosa e seducente delle lingue. Sappiamo tutti che il bello è soggettivo e che una lingua non è più bella dell’altra, ma come mai nel caso dell’italiano tanti condividono la stessa passione? Certo è che molti studi e ricerche sono già stati realizzati da illustri linguistici e anche da molti di noi modesti “operai” delle parole a fine di spiegare tutto ciò, ma ho l’intuito che sicuramente saranno gli angeli che un giorno riusciranno a spiegarcelo meglio. (Foto: Dante Alighieri nel Paradiso di Gustavo Doré 1832-1833 – Gustave Doré, Public domain Mark 1.0, via Wikimedia Commons)

L’italiano nasce dalla poesia di Dante

L’Italia di un tempo era una babele di dialetti in gran parte derivanti dal latino. Divisa in feudi frequentemente in guerra tra di loro, anche la lingua era sottoposta a frammentazione. Gli abitanti della penisola parlavano dialetti locali incomprensibili fra le diverse regioni. Proclamata l’unita d’Italia nel 1861 si fece necessario istituire una lingua nazionale. Gli intellettuali italiani si riunirono e scelsero il dialetto di Firenze come la lingua ufficiale d’Italia. “Hanno dovuto retrocedere di 200 anni per trovare il dialetto più bello e hanno deciso di prenderlo dal linguaggio personale del grande poeta fiorentino Dante Alighieri”, ha detto la scrittrice americana Elizabeth Gilbert, l’autrice del best-seller “Eat, Pray, Love” (Mangia, Prega, Ama). Quindi, l’italiano come lingua è nato dalla poesia di Dante.

Quando nel 1321 pubblicò la “Divina Commedia, Dante scatenò una reazione nel mondo letterato per non averla scritta in latino. Per raccontare il suo viaggio attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, lui cercò sulle strade il vero idioma fiorentino, parlato dalla gente. “L’idioma che parliamo oggi è fondamentalmente dantesco. Nessun’altra lingua europea ha un linguaggio così artistico”, afferma la scrittrice. Secondo lei, l’italiano scritto da Dante può ancora essere facilmente compreso da chiunque conosca l’italiano moderno. 

Dante-affresco

Dante e il suo poema, affresco di Domenico di Michelino- Cattedrale di Firenze (1465)  [Domenico di Michelino, Public domain Mark 1.0, via Wikimedia Common] 

«Nell’ultima riga della Divina Commedia, nella quale Dante incontra la visione di Dio stesso, lui scrisse che Dio non è solo un’immagine abbagliante di luce gloriosa, ma, più di tutto, è ‘l’amor che muove il sole e l’altre stelle’».

Quarta lingua più studiata nel mondo

Nel 1861 solo il 2,5% del popolo in Italia parlava italiano correttamente, un altro 10% pur non parlandolo lo capiva. Negli anni 50 del XX secolo, l’italiano perdeva ancora contro i dialetti: il 18% degli italiani comunicava nella lingua ufficiale, il 18% lo faceva alternando l’una e l’altra mentre il 64% usava solo il dialetto locale. L’italiano diventò lingua predominante solo una sessantina di anni fa con l’alfabetizzazione nelle scuole e l’avvento della TV. Secondo i dati statistici del 2015 operati dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), si stima il 45,9% della popolazione si esprima prevalentemente in italiano, il 32,2% sia in italiano che in dialetto mentre il 14% usi ancora prevalentemente il dialetto (il 6,9% parla altre lingue e è caratterizzato dagli immigrati).

Attualmente l’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo. La notizia, esaurientemente pubblicata da quotidiani e da vari blog italiani, arriva dall’Ethnologue: Languages of the World, una pubblicazione cartacea ed elettronica del SIL International. Nei primi posti si presentano l’inglese, lo spagnolo e il mandarino, rispettivamente. L’idioma di Dante, quindi, ha superato il francese e il tedesco, tra altre lingue. Nella classifica per numero di parlanti, intanto, l’inglese segue in primo, il portoghese occupa la 10a posizione e l’italiano è al 21posto.

I motivi per i quali l’italiano è la quarta lingua più studiata possono essere tanti e sicuramente uno dei principali è la cultura italiana. Credo anche che la musicalità dell’italiano parlato influisca moltissimo e, perché non dire, anche il cibo. Ho letto 

qualche tempo fa un articolo pubblicato dalla stampa italiana in cui un professore d’italiano diceva più o meno così: “molti stranieri sono spinti a studiare i nostri vocaboli, magari solo per leggere le divine ricette”.

Da matricola universitaria in Brasile mi iscrissi ad un corso d’italiano. Le motivazioni principali furono le mie radici familiari, il legame con la cultura e il fascino delle canzoni di allora, ma non solo. La bellezza delle parole, la letteratura, il cinema, la storia, l’arte, il cibo, il desiderio di un giorno visitare l’Italia e l’emozione che la lingua mi faceva provare, tutto ciò l’ha fatta divenire la mia seconda lingua. Più tardi la necessità mi ha condotto ad imparare l’inglese e, se del portoghese rimango fiera averla come madrelingua e l’amo proprio, l’italiano è diventato per me l’idioma del piacere.

Pixabay license

Dall'etereo all'estero

È proprio Elizabeth Gilbert a spiegarci il potere seduttivo della lingua italiana. “L’aspetto interessante della mia classe d’italiano è che nessuno ha davvero bisogno di essere qui. Siamo in dodici, di tutte le età, provenienti da tutte le parti del mondo, ma ciascuno è venuto a Roma spinto dallo stesso desiderio – studiare l’italiano per il solo piacere d’impararlo. (…) Ognuno, anche il sussiegoso ingegnere tedesco, la pensa allo stesso modo: vogliamo studiare l’italiano per godere delle sensazioni che ne riceviamo. Una russa dal viso triste dice che si è regalata queste lezioni d’italiano perché ha pensato di ‘meritare qualcosa di bello.'”

Dopo averci traghettato attraverso l’Inferno, percorso il Purgatorio e giunti al Paradiso, dove forse gli angeli hanno imparato a parlare italiano, la lingua della commedia divina di Dante vince non soltanto le barriere della penisola italica, ma travalica i confini conquistando nuovi ed inguaribili appassionati. Neanche nelle terre vicine si ferma; pian piano si mostra irresistibile a quelli che abitano nel continente americano ed ora nel mondo asiatico. Le ultime notizie arrivano dal giornale “Elaph, il primo quotidiano arabo indipendente online, che titola: “l’italiano è la lingua più bella.” 

A questa conclusione è giunta la giornalista Sarah al-Shamali dopo la sua personale analisi sulle lingue più conosciute. Nell’analisi effettuata, Sarah al-Shamali ha preso in considerazione l’inglese, il francese, lo spagnolo, il tedesco, il portoghese, l’ebraico, l’arabo e il cinese, oltre ad altre lingue. Ha valutato le sonorità, la struttura, la versatilità e l’uso degli idiomi mettendoli a confronto e ha concluso che la lingua italiana è di gran lunga la più bella. Secondo lei, “l’italiano è il miglior linguaggio per la sua forte espressività ed eloquenza. Oltre a questo, la tonalità romantica e la gestualità caratteristica usate dagli italiani donano alla lingua una dimensione più umana”. La notizia è stata anche pubblicata dall’ArabPress, con un link alla pubblicazione originale.

Dagli articoli dell’Elaph e dalle parole dal professore d’italiano citato qui sopra si può concludere che sia dalla “Divina Commedia o nelle divine ricette della cucina italiana, la lingua di Dante ci seduce. Ricordo un libro, sul quale studiai, dal titolo: “L’italiano, una lingua maliarda“, di Romolo Traiano, pubblicato dalla casa editrice Centro Studi Ca’romana, nel 1987. Già diceva Traiano che l’italiano è una lingua davvero seducente.

La lingua italiana in Brasile

Durante il periodo più forte dell’emigrazione italiana, tra 1875 ed il 1935, un milione e mezzo d’italiani arrivarono in Brasile. Fra essi più della metà erano veneti, come i miei bisnonni Valentino Fasolato ed Elvira Pressato, e parlavano il dialetto veneto che presenta assonanze col portoghese. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’allora presidente della Repubblica, Getúlio Vargas, vietò l’uso parlato e scritto della lingua italiana in Brasile chiudendo anche le scuole. La proibizione ha fatto sì che gli italiani e i loro discendenti comunicassero tra loro usando un misto di veneto e portoghese permettendo così la nascita di una nuova lingua: il Talian. Chiamato anche “veneto brasiliano”, nel 2014 è stato riconosciuto ufficialmente come lingua entrando a far parte del patrimonio storico e culturale del Brasile. Ma cos’elo sto Talian? Bene, su questo parleremo in un altro post.

Antonio Prado (RS) cidade italiana

Antônio Prado (RS) una delle tante città italiane in Brasile. – Porta d’accesso da Marinelson Almeida – Flickr Attribution CC BY 2.0

 

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Carnevale di Venezia, un’esperienza unica

carnevale venezia
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Essere partecipe al carnevale di Venezia è un’esperienza senza paragoni, unica, da fare almeno una volta nella vita. È come svegliarsi durante un sogno per ritrovarsi in una piazza San Marco del XVIII secolo. Il mondo è cambiato fuori e cambia dentro di te. Colori, pizzi, merletti, soavi velluti, la bellezza dei costumi e il mistero, nascosto negli occhi, dietro le maschere. Non c’è niente di più affascinante che il mistero e la meraviglia negli occhi. Ecco, un’altra volta è carnevale! Come si fa a non raccontare la bellezza e la magia vissuti a Venezia in questi giorni.

Le origini del carnevale di Venezia risalgono al 1094 quando, per la prima volta, il vocabolo venne usato per descrivere il divertimento pubblico popolare. Tuttavia, è nel XVII secolo che il carnevale acquisisce prestigio. Anche I nobili volevano divertirsi e attraverso l’anonimato dato dalle maschere si mescolavano al popolo nelle strade. Con le maschere addosso, non solo l’identità, ma anche sesso e classe sociale rimanevano anonimi. Nell’indossare una maschera si entrava in un mondo illusorio dove tutto era possibile e consentito. L’atto di togliere la maschera spesso segnalava disponibilità agli approcci dei corteggiatori. In ogni storia il possibile epilogo partiva dalla “magia”.

Le maschere, simbolo di libertà

carnevale venezia pierrot

Le maschere diventarono simbolo della libertà. Tra le più antiche e tradizionali, che non mancano mai nel carnevale a Venezia, ce n’è una indossata sia da donne che da uomini, la bauta, composta da una maschera bianca, un copricapo a tricorno nero ed un ampio mantello scuro chiamato tabarro. Ma c’è molto di più. Non esiste carnevale a Venezia senza l’Arlecchino, la Colombina, il Gatto, la Moretta e, ovvio, il mio preferito, il bellissimo Pierrot… Ok, mi faccio una lacrimuccia per sognare quell’innamorato romantico quanto sfortunato!

Il mondo però talvolta si dimostra davvero strano. Nel 1797 la bellezza del carnevale di Venezia fu vietata da Napoleone Bonaparte, dopo l’invasione del Nord’Italia. Le maschere furono proibite per timore di disordini e tumulti da parte della popolazione. La festa viene ripristinata solo quasi due secoli dopo quando riprese anche la tradizione delle maschere. Così, si avviò sulle maschere a Venezia un vero e proprio commercio.

Con il riprendere della festa e le tradizioni ristabilite, gli artigiani spolverano quello che sembrava dimenticato e sviluppano gli affari. Attualmente usano tecniche e materiali diversi realizzando anche corsi per chi voglia imparare il mestiere. Si lavorano argilla, gesso, garza, ma le maschere più artigianali sono quelle ottenute seguendo la tradizione antica in cui la cartapesta, ottenuta da ritagli di carta assorbente e colla, viene lavorata rigorosamente a mano.

Per produrre le più ambite maschere di Venezia, prima viene creato il modello e lo stampo nel quale la cartapesta viene lavorata e lasciata essiccare. Tolto lo stampo è ora di rifinire l’opera decorandola e arricchendola con piume, perline, disegni e tutto quello che l’immaginazione sarà in grado di creare. Su di esso, le parole servono poco, solo le immagini possono descrivere tanta bellezza.

carnevale venezia

Con tanta gente in giro c’è anche chi è riuscito a fare un pisolino.

🙂

 

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Giornata del migrante italiano, un tributo a Valentino ed Elvira

Anche il comune di Torreglia, situato nel Veneto, aggiunge storia a quel libro intitolato Italia di cui persino i miei bisnonni Valentino ed Elvira furono coautori. Tenendo viva la memoria rievochiamo il nostro passato. 
Questo è un racconto che parla di addii e di incontri; un breve paragrafo di questa storia scritta da chi un giorno di Torreglia partì e certamente sconosciuto a coloro che oggi vivono e costruiscono la Torreglia del futuro.
Mi sento fortunata per l’opportunità di riportare, con Valentino ed Elvira,  una storia lontana e dimenticata e per aver trovato in questa le mie radici. Non c’è data migliori del 21 febbraio, giornata del migrante italiano in Brasile, per pubblicare questo tributo ai tanti “Valentini” ed “Elvire” che allora partirono in cerca di migliori opportunità di vita e di lavoro.

Tutto ebbe inizio quando …In America

Tutto ebbe inizio quando il governo del Brasile, affrontando la necessità di sostituire i braccianti schiavi, ebbe conoscenza che gruppi di migranti europei lasciavano i loro paesi in cerca di una vita migliori in quest’altra parte dell’Atlantico. Il richiamo delle sirene arrivò nella forma di volantini pieni di irresistibili promesse nei quali si poteva leggere: “…In America. Terre in Brasile per gli Italiani. Navi in partenza tutte le settimane dal Porto di Genova. Venite a costruire i vostri sogni con la famiglia. Un paese di opportunità. Clima tropicale vito in abbondanza. Ricchezze minerali. In Brasile potete avere il vostro castello. Il governo dà terre ed utensili a tutti”. Così, il 21 febbraio 1874, arrivò in Brasile la prima spedizione di italiani.

Valentino ed Elvira non furono i primi a sbarcare, ma sicuramente crebbero catturati da quel sogno. Si, loro osarono e in cerca di quel sogno partirono ancora giovani (lui di anni 25 e lei 21) da via Vallorto nel mezzo dei Colli per un lungo e sconosciuto viaggio. Sposati solo quattro mesi prima, partirono dal porto di Genova quell’aprile del 1896 a bordo del piroscafo Rosario. Nella casa a Torreglia, lasciavano famiglia, amici e il cuore. Nella valigia misero solamente la speranza di una vita migliore e quando si allontanarono dal porto non lo sapevano di stare dando un definitivo addio all’Italia.

Quelli erano anni difficili nella loro patria mentre oltremare molte erano le promesse di una vita nuova. Valentino ed Elvira furono soltanto altri due, tra le migliaia d’italiani, che risposero all’appello. La decisione di emigrare non era una scelta libera, arrivava della necessità e perciò tutti in cuor loro covavano la speranza di ritornare nella patria natia. Per Valentino ed Elvira non fu diverso. Dopo un mese di viaggio, il 2 maggio 1896, più precisamente 124 anni fa, sbarcarono nel porto di Rio de Janeiro. Erano riusciti, insieme con altri 953 viaggiatori in terza classe, a superare le intemperie e le malattie del viaggio. Il loro destino era Juiz de Fora (la città dove sono nata) nello stato di Minas Gerais. Valentino ed Elvira non sapevano che della loro decisione avevano iniziato anche a tracciare la mia storia.

Oltre ai confini: lavoro duro, famiglia e saudade

Valentino Fasolato, primogenito di sei figli della coppia Giuseppe Fasolato e Antonia Pravato, nacque il 28 giugno 1870. Oltre a genitori e parenti, ha lasciato a Torreglia i suoi fratelli, Luigi e Adamo (quest’ultimo sposò Domenica Gallo), e la sorella, Angela, che anni dopo sposò Agostino Bernardi. Elvira Pressato nacque il 4 febbraio 1874, figlia di Giovanni Pressato e Scolastica Neri. Valentino ed Elvira, insieme, cominciarono una grande famiglia Fasolato che rompendo i confini tra i due paesi unì culture diverse. Arrivati a Minas, la coppia si stabili a Sarandira, frazione di Juiz de Fora, dove Valentino lavorava la terra, come aveva imparato a Torreglia.

Dopo essersi successivamente spostati a Juiz de Fora, Valentino vi si stabili in qualità di giardiniere e coltivando un piccolo orto iniziò la vendita di piantine oltre a usarle per dare vita ai giardini delle più eleganti case della città. La vita era dura, fatta di tanto lavoro, e come tutti gli immigrati Valentino ed Elvira impararono anche a convivere con la “saudade“, la nostalgia, che appesantiva continuamente il loro cuore. A questo punto, il pensiero di ritornare in Italia, ritrovare la famiglia, gli amici, riprendere le abitudini, rivivere i sapori e gli odori della loro terra si allontanavano. La situazione economica, il lavoro e i figli che arrivarono, otto in totale, li spingevano ad andare avanti e impegnarsi ancor più per migliorare e consolidare la stabilità della famiglia.

Oggigiorno in Brasile sono centinaia i discendenti dei Fasolato e tutti i discendenti di italiani nel paese già sommano oltre a 28 milioni.

Bisogna raccontare per non dimenticare

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Qualcuno con maggior fortuna, ciascuno col proprio destino. In verità il “paradiso” che fece sognare i nostri bisnonni e nonni era lontano dell’essere reale. Appena arrivati, gli immigrati venivano portati presso la “Hospedaria dos imigrantes” una sorta di ostello di accoglienza dove veniva attuata un triage per valutare le loro condizioni di salute. Poi caricati su treni che li trasportavano in remoti villaggi. I castelli finora promessi erano solo vecchie e primitive baracche oppure un tetto ancora da costruire, in ogni modo lontani delle città. Si sentivano confinati, isolati e soggetti alle malattie tropicali. Non disponevano di mezzi di trasporto, non potevano comunicare con la famiglia in Italia, non parlavano la lingua locale e non ricevevano né sostegno sanitario né tantomeno supporto religioso. Carenti di tutto. Il vino e il formaggio cedettero il posto alla farina di manioca. Abitudini e tradizioni furono violate e i legami famigliari spezzati.

Per riprendere in mano la loro vita, gli immigrati italiani dovettero rompere pesanti vincoli imposti dai loro sfruttatori. Lottarono contro l’avidità e l’egoismo, misero su famiglia, crearono

nuove abitudini, piantarono, raccolsero, costruirono città, ripresero tradizioni, impararono e insegnarono. Il vino e il formaggio pian piano ritornarono sul tavolo e molti, come Valentino ed Elvira, osarono di nuovo; sopravvissero. Valentino ed Elvira vissero in Brasile i successivi 50 anni. Anni di duro lavoro e di “saudade”. Anni passati a sognare il ritorno nel loro paese, anni di gioie e lacrime. Quando partirono per il mondo spirituale entrambi avevano 70 anni. Valentino ed Elvira forse non sanno, ma sicuramente la loro missione fu compiuta. Da loro ho ereditato il sangue, i valori, la cittadinanza, l’interesse per l’Italia, per la lingua, la cultura, la musica e non solo; ho ereditato anche il sogno. Per loro ho fatto il viaggio che non sono mai riusciti a fare. In qualche modo, attraverso di me sono tornati in Italia e chissà un giorno riuscirò a riportarli a casa, alla loro amata Torreglia. Abitare a Torreglia è ancora un sogno.

In questo 21 febbraio 2020, giornata del migrante italiano in Brasile e quando si festeggia i 146 anni del movimento migratorio italiano, ricevete questa storia come una dichiarazione d’amore!

Centro urbano primitivo a Caxias do Sul, “Sede Dante”, 1876-77 circa. (Autore sconosciuto, Wikimedia Commons Domínio pubblico Mark 1.0)

 

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L’Italia è come un libro – Vieni a leggere!

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Girare per le strade d’Italia è viaggiare nella storia. Torniamo indietro nel tempo e ci riconosciamo come protagonisti di questo grosso libro, illustrato a colori. Bellissimo! Ogni angolo d’Italia ci racconta qualcosa, basta saperli ascoltare. Saint-Exupéry, l’autore del Piccolo Principe, ebbe a dire una volta: “Non si vede bene che con il cuore”. Anche se l’Italia può essere percepita con tutti i sensi è il cuore che raggiunge l’invisibile… l’essenza. L’arte, la letteratura, il cinema, l’architettura, l’aroma del cappuccino, il profumo della pizza, il sapore del vino, le finestre fiorite, la fisarmonica che per strada suona “O Sole Mio”… l’Italia è tutto ciò.

Per me l’Italia è qualcosa di magico. Trovare sulle pagine di questo ipotetico libro la propria storia, le proprie radici, ha un valore indescrivibile. É stato a Torreglia, accogliente comune della provincia di Padova, situata nel nord-est, il luogo in cui ho trovato un capitolo tutto speciale. In questo riassunto, vi introduco a ciò che l’Italia ha da raccontare. Vi porto in un viaggio!

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Italia in capitoli – dalla Preistoria al Medioevo…

Correzzola is magically set to revive the Middle Ages
Correzzola, magicamente ambientata per rivivere il medioevo.
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Il primo capitolo ci porta nella Preistoria. L’Italia era abitata già nel Paleolitico e, secondo un articolo pubblicato sulla rivista National Geographic, il sito Monte Poggiolo, nell’Emilia Romagna, ci offre la più antica testimonianza della presenza umana sulla penisola. “Erano Padani i primi abitanti d’Italia. I primi ominidi arrivarono in Pianura Padana, circa 850 mila anni fa, in seguito a un drastico cambiamento climatico”, afferma l’articolo.

Nel secondo capitolo un giro nella storia antica ci fa ritrovare le civiltà etrusca, fenicia, greca e romana. Palermo (fondata dai fenici) e poi Napoli e Roma rappresentano le più importanti città di questo periodo. Sfogliandone le pagine scoprimmo che l’organizzazione sociopolitica romana lasciò un segno indelebile nella storia dell’umanità. I romani costruirono città, porti, strade, acquedotti e fortificazioni ed è frequente trovarsi di fronte qualche sito archeologico romano. La storia si apre viva davanti ai nostri occhi.

Ci va di fare un giro nel Medioevo? Ecco… anche questo è possibile. Le feste medievali sono sempre un’attrattiva. Ho avuto il piacere di rivivere il medioevo a Correzzola, comune della provincia di Padova che fin allora è abitato da una piccola comunità. Ogni anno a luglio, Correzzola è magicamente ambientata per rivivere il periodo detto buio e… mamma mia, che avventura! Mi sono ritrovata con la testa in una gogna e ”gogna” è anche la parte finale della parola “vergogna”, che è esattamente ciò che si prova quando ci si ritrovi in quella posizione imbarazzante. Per fortuna il mio boia di Correzzola ha avuto buon cuore e mi ha liberata o non sarei qui a raccontare il terzo capitolo di questo libro.

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Il Rinascimento, l’Età Moderna, il Risorgimento, le guerre…

Nel quarto capitolo si viaggia verso l’Età Moderna. La porta d’imbarco è il Rinascimento, un periodo di transizione e cambiamento nella storia europea. Firenze svolge un ruolo importante in questo percorso dove incontriamo Dante, Giotto, Petrarca, Boccaccio, Donatello, Michelangelo, Leonardo… Sono molte le pagine che si sommano in questo voluminoso libro. Le scoperte geografiche, le invenzioni… Marconi inventò la radio e Meucci, nonostante ne sia giunto tardivo il riconoscimento, inventò il telefono. È l’inizio di una nuova era.

Qui, fieri siamo noi a combattere per l’unità nazionale e, così, diventiamo partecipi del Risorgimento Italiano. Viene proclamato il Regno d’Italia, la capitale si sposta a Roma e il dialetto toscano viene scelto come lingua nazionale. Poi scoppiano guerre che lasciano profondi segni. Troviamo ancora piccole ma profonde ferite come imperiture cicatrici sulle mura, a memoria dei conflitti. Ricercando ho scovato la Brigata Fasolato, una delle tante che ha preso parte alla Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale. Mi chiedo anche se io abbia avuto qualche parente partigiano, ma questa è una ricerca ancora da approfondire.

E tanto altro da scoprire:

Questo libro ci racconta molto altro ancora. Sulle sue pagine rintracciamo come fu costruita Venezia, la città che sembra galleggiare. La sua bellezza incomparabile è un invito a perdersi nelle sue calli, a seguire l’incedere delle gondole… a innamorarsi a e di Venezia. E poi, prendendo il vaporetto, sbarchiamo nella magia dei colori di Burano. Per noi una passeggiata d’incanto. Per i pescatori che abitano sull’isola, intanto, i colori variegati e sgargianti con i quali dipingono le loro case sono d’aiuto per ritrovarle quando immerse nella nebbia fitta. La storia passa davanti ai nostri occhi come un capolavoro del cinema italiano e mentre canticchiamo “Nel blu dipinto di blu” capiamo quanto sia bella la vita. Nel libro Italia non si finisce mai di inserire pagine.

David by Michelangelo - a masterpiece of Renaissance

Il David di Michelangelo (Foto di Jörg Bittner Unna – Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported) David-detaglio della mano (Foto di Rabe!Attribution-Share Alike 4.0 International)

Amore e Psiche por Antonio Canova, 1787. (Foto di gadgetdude Creative Commons –  Attribution 2.0 Generic.

Torreglia, un capitolo speciale.

"La caduta degli angeli ribelli " di Agostino Fasolato (1750 circa): 60 figure scolpite in un unico pezzo di marmo di Carrara. Il capolavoro delle collezioni Intesa Sanpaolo sta esposto in modo permanente nelle Gallerie d’Italia, a Vicenza

Ora siamo arrivati a Torreglia, localizzata ai piedi dei Colli Euganei. Un paese speciale per me perché li ho trovato le mie radici. Sfogliando gli antichi archivi tenuti dalla parrocchia e dall’ufficio anagrafe municipale ho trovato numerosi Fasolato. Alcuni famosi come Giacomo Fasolato, scrittore, linguista e lessicografo, nato a Torreglia nel 1682. Apprezzava così tanto la lingua latina che ha latinizzato la grafia del suo nome diventando Jacopo Facciolati. Numerosi sono anche i registri dei Fasolato appartenenti alla fratellanza dei tagliapietre e scultori che figurano nei documenti conservati nell’Archivio di Stato di Padova. Tra questi, Agostino Fasolato (1750 circa). Agostini scolpì 60 figurine in un unico pezzo di marmo di Carrara alto quasi due metri che poi chiamò “La caduta degli angeli ribelli”.

Tuttavia, è stato davanti a una casetta fatta di pietra e mattoni che ho toccato più profondamente la storia. Li, a via Vallorto, visse mio bisnonno, Valentino, e guardando la casa mi sono fatta un film. L’ho immaginata abitata, illuminata soltanto da una debole luce che a malapena arrivava alla finestra… É già, sono entrata nella macchina del tempo e mi sono ritrovata nell’Ottocento. Ho guardato il paesaggio attraverso i suoi occhi di contadino. Sono salita lungo la strada verso la chiesa di San Sabino che avendo custodito i registri di nascita e matrimonio ha conservato viva la storia. Questa storia che oggi mi racconta che nel 1895, Valentino Fasolato sposò Elvira Pressato.

Ho immaginato Valentino mentre prendeva la decisione che avrebbe cambiato la vita a tutta la sua famiglia: partire per il Brasile in un viaggio di solo andata su un piroscafo chiamato Rosario, che nel 1915, dopo tanti viaggi, scelse di riposare in fondo all’oceano. Mentre tutto questo mi passava per la mente, le campane della chiesa suonavano. Forse l’hanno fatto apposta perché io potessi ascoltarle, come Valentino ed Elvira le ascoltarono prima di partire. Nella mia immaginazione, ho spento le luci della città. Ho provato il buio, l’inverno, la solitudine e la fame, che ha fatto sì che essi lasciassero dietro di sé la loro terra, i loro legami. Ritorno sempre a Torreglia. Mi piace guardare i Colli. Torreglia mi ha raccontato tanto della mia storia. L’Italia va al di là dei cinque sensi.

Sopra: Torreglia, provincia di Padova. Sotto, dalla sinistra, la casa dove abitò Valentino, io durante una visita a Torreglia, e una veduta dei Colli Euganei.
Valentino's house
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